Sì al risarcimento dei danni conseguenti ad un intervento chirurgico effettuato a seguito di una errata diagnosi di cancro. È quanto ha riconosciuto la terza sezione civile, sentenza n. 4030/2013, esaminando il ricorso di una donna sottoposta ad un intervento di laparoisterectomia, dopo un’errata diagnosi di carcinoma. La donna aveva citato in giudizio l’azienda ospedaliera di Parma e due chirurghi, chiedendone la condanna al pagamento dei danni biologici patrimoniali e non patrimoniali, per operazioni che le avevano provocato un’invalidità permanente.
I giudici del merito, il Tribunale di Parma prima e la Corte d’Appello di Bologna poi, avevano però rigettato le sue istanze, ma la Cassazione ha ora annullato con rinvio la sentenza di secondo grado. In particolare, gli ermellini hanno analizzato la questione del consenso informato, «diritto inviolabile della persona».
Il caso in esame «si caratterizza da un contestuale errore di informazione e di assenso all’atto chirurgico, ma l’errore diagnostico non deriva da colpa lieve, ma da una gravissima negligenza, l’avere operato prima di avere la certezza di un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile l’intervento. Mentre, si assume, che si trattava di intervento routinario. Non è dunque avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione a un contenuto di informazione medica assolutamente carente e forviante».
In una simile ipotesi, chiarisce ancora la Corte, “La specificazione dello error in iudicando riferito alla sequela dell’errore diagnostico e intervento chirurgico assentito sulla base di errata informazione delle condizioni di salute, non costituisce domanda nuova, ma è atto intrinseco alla deduzione di una domanda diretta ad accertare la responsabilità civile secondo le circostante note e allegate”.
La Suprema Corte ricorda come la legge Balduzzi ha depenalizzato la responsabilità del medico per colpa lieve, ma ha ricordato anche che «la prova della colpa lieve non esime dalla responsabilità civile»: nel caso di specie, si legge ancora nella sentenza, «i medici e la struttura non hanno dato la prova esimente della complicanza non prevedibile o non prevenibile» dell’intervento, mentre la prova «incombe alla parte che assume l’obbligo di garanzia della salute».
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