La conferma in uno studio dell’Università della California. Si tratta della stessa proteina che ci fa avvertire le sensazioni irritanti, come quelle dei gas lacrimogeni o della salsa “wasabi” giapponese. Aperta la porta ad una generazione di farmaci antidolorifici ‘disegnati’ su misura. Lo stesso gruppo, poco più di un anno fa, aveva rivelato la forma del recettore-capsaicina

L’hanno soprannominata proteina wasabi perché si trova nella membrana dei neuroni sensitivi e permette di avvertire il sapore pungente dell’omonima pasta verde, protagonista della cucina giapponese. Ma, in un contesto completamente diverso, questa proteina è anche quella che ci fa sentire il fastidio insopportabile dei gas lacrimogeni e di sostanze spiacevoli di varia natura. La sua funzione è infatti quella di ‘avvertire’ l’organismo della presenza di sostanze estranee irritanti, ma viene stimolata anche dai segnali nocicettivi, dal dolore cioè, in particolare da quello scatenato da un danno tessutale o da un processo infiammatorio. Nota ormai da diversi anni, il suo nome scientifico, decisamente meno attraente, è TRPA1 (Transient Receptor Potential Cation Channel, subfamily member 1).

Ma il recettore wasabi è balzato recentemente di nuovo all’onore delle cronache scientifiche, grazie ad un lavoro pubblicato su Nature da un gruppo di ricercatori californiani.
“Sapevamo da tempo – spiega David Julius, professore e direttore del Dipartimento di Fisiologia dell’Università della California di San Francisco (UCSF) che la TRPA1 ha un ruolo importante nell’avvertirci della presenza di sostanze irritanti ambientali e del dolore infiammatorio. Per questo abbiamo pensato che apprezzare meglio il funzionamento di questa proteina potesse essere importante per comprendere il meccanismi alla base del dolore. E naturalmente queste informazioni possono rivelarsi preziose anche per il design di nuovi analgesici”.

La proteina recettore TRPA1 forma dei ‘pori’, detti canali ionici, a livello delle membrane delle cellule sensitive nervose. Questi canali normalmente sono chiusi ma, in risposta ad alcuni segnali chimici, che consentono il passaggio di ioni all’interno delle cellule, scatenano un impulso di ‘allarme’. La struttura chimica di questa proteina recettore non era del tutto nota tuttavia, prima del lavoro dei ricercatori californiani; e questo naturalmente non ha consentito di costruire un farmaco su ‘misura’, in grado di controllare il funzionamento (apertura-chiusura) dei canali ionici.

Gli studiosi della UCSF sono riusciti a ‘scattare’ una foto 3D della struttura di questa proteina che ha rivelato la presenza di un’incisura, in grado di accomodare un farmaco sperimentale e di farlo legare al canale ionico. “In questi anni sono state ‘disegnate’ diverse molecole aventi come bersaglio la TRPA1; avendo ricostruito la struttura tridimensionale di questa proteina, siamo ora in grado di dire quali di queste molecole si legano effettivamente alla TRPA1 o quali no. Questo fornisce informazioni importantissime su come questa nuova classe di farmaci interagisca con la TRPA1 e dunque su come funzioni per bloccare questi canali”.
La ‘macchina fotografica’ usata dagli scienziati della UCSF è la cosiddetta crio-microscopia elettronica (crio-EM), una tecnica di imaging che consiste nel bombardare le proteine con elettroni a bassissime temperature. Questo ha consentito di ottenere una fotografia della TRPA1 ad una risoluzione di circa 4 angstrom.
Nella crio-EM, le proteine da studiare vengono messe in una soluzione acquosa che viene poi congelata in maniera così rapida da non permettere all’acqua di formare cristalli di ghiaccio, che rovinerebbero le proteine in essi incluse e impedirebbero di studiarne la struttura. Le proteine, così incluse nel ghiaccio trasparente, vengono ‘fotografate’ fino a 100.000 volte. Tutte queste immagini bidimensionali sono quindi elaborate al computer fino ad ottenere la struttura 3D della proteina.
In questo modo è stato possibile ottenere l’immagine della TRPA1 in stato chiuso, semichiuso e parzialmente aperto.

Il team della UCSF non è nuovo a questi exploit. Circa sei anni fa hanno cominciato ad avvalersi della crio-EM per studiare la struttura di un altro recettore, il TRPV1, anche detto recettore della capsaicina, che può essere stimolato da irritanti ‘caldi’, come il peperoncino. Si trattò allora di una vera rivoluzione perché con gli strumenti disponibili fino ad allora, non si era riusciti a scendere sotto una definizione di 15 angstrom, troppo grossolana per rivelare i segreti di queste proteine recettoriali. Fino a quel momento per studiare la struttura delle proteine l’unico ‘strumento’ riconosciuto era la cristallografia a raggi X, che può raggiungere una risoluzione fino a 3 angstrom, ma che richiede grandi quantità della proteina da studiare.

“La crio-EM – commenta Julius – è andata incontro ad una rivoluzione di risoluzione che ci ha consentito di vedere letteralmente i canali TRP in tutto il loro splendore. Avevamo qualche idea di quale aspetto potesse avere la TRPA1, ma c’è qualcosa di molto elegante e appagante nell’ottenere la sua struttura, perché vedere è proprio credere’.

Lo studio è stato finanziato dai National Institutes of Health e dall’ UCSF Program for Breakthrough Biomedical Research.

Maria Rita Montebelli

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