Il semplice fatto che un medico abbia commesso un errore (nella specie un’errata diagnosi) non può bastare per affermare la sua penale responsabilità per la morte del paziente. E quanto chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49654/2014 occupandosi del caso di un medico di turno (presso un presidio di pronto soccorso) che non aveva riconosciuto i sintomi di un infarto intestinale in un paziente che nelle ore successive era deceduto.

La Corte di Cassazione, in sede di legittimità, si è pronunciata, con la sentenza n. 49654/2014, in ordine ad un caso di responsabilità medica, disponendo che al fine di escludere l’eventuale responsabilità del medico è necessario che sussistano ragionevoli dubbi sul nesso di causalità tra il comportamento del medico stesso e il fatto accaduto.

La fattispecie concreta è relativa al caso di un paziente deceduto a seguito di un infarto intestinale non diagnosticato prontamente dal medico del pronto soccorso il quale, non avendone riconosciuti i sintomi, secondo quanto sostenuto dall’accusa, avrebbe causato la morte del paziente.
Bisogna però soffermarsi, seguendo la massima della Corte di Cassazione, sul concetto di nesso di causalità. Il c.d. nesso di causalità è quel rapporto tra l’evento dannoso e il comportamento del soggetto agente (autore del fatto), commissivo od omissivo, astrattamente considerato. Con particolare riguardo alla responsabilità medica, risulta talvolta particolarmente difficile ricostruire la connessione causale tra il comportamento ed il fatto, nel caso di specie la morte del paziente, per diversi fattori:

Il medico nello svolgimento della sua professione è soggetto ad La distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato si riscontra nel fatto che, con la prima, il soggetto agente è obbligato ad eseguire la prestazione secondo diligenza ex art. 1176 c.c. [“Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.”], mentre con la seconda, il soggetto agente è obbligato a raggiungere un determinato risultato indipendentemente dagli strumenti o i modi attraverso i quali vi si perviene.

Il medico, nello svolgimento della sua professione, è spesso soggetto a stringenti , sancite nei , che predispongono i procedimenti cui optare al presentarsi di determinati casi clinici.

Il medico vedrà parametrata la propria responsabilità penale alla , in forza dell’, che prende il nome da chi, illo tempore, era ministro della Sanità. La colpa lieve si riflette in una , in relazione al caso concreto, la quale dovrà essere valutata dal giudice , il quale predispone che i prestatori d’opera potranno essere sanzionati solo per i danni arrecati con dolo o colpa grave.

L’art. 3 co.1 del Decreto Balduzzi, conformemente all’art. 2236 c.c, dispone: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile (responsabilità extracontrattuale). Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Ma in quali occasioni rileverà la colpa del medico? Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, la colpa rileverà nel caso in cui si possa raggiungere la conclusione che un altro medico nelle stesse condizioni del soggetto agente non avrebbe sbagliato l’operazione chirurgica o la scelta del protocollo. Tuttavia sorgono dei dubbi. Il medico potrebbe non attenersi al protocollo in quanto, per sua opinione, non conveniente per il paziente ovvero scegliere un protocollo, esatto per le circostanze concrete, ma farne una cattiva applicazione. Quali saranno le conseguenze in questi casi? La giurisprudenza è sembrata contrastante, sino a questa sentenza di legittimità che dispone: “nonostante la morte del paziente non si può condannare penalmente il medico negligente se anche la giusta diagnosi difficilmente avrebbe salvato il paziente (nel caso di specie si trattava di infarto intestinale, che ha una percentuale di mortalità pari all’83-100% dei casi). L’assoluzione è d’obbligo tutte le volte in cui resta un ragionevole dubbio sul nesso causale fra la condotta e l’evento“.

Dal testo della sentenza è possibile ricavare il principio, secondo il quale il medico sarà suscettibile di sanzione penale solo quando tra la sua condotta negligente o imprudente e il fatto vi sia un rapporto di causa-effetto , che non si sarebbe verificato qualora il medico avesse ottemperato alla sua obbligazione di mezzi diligentemente. Sembra rimarcarsi il profilo del nesso di causalità quale condicio sine qua non che, per l’appunto, risulta necessaria in funzione del fatto che il medico non sarà stato responsabile tutte quelle volte in cui sia altamente probabile che la morte del paziente sarebbe parimenti soggiunta.

Fonte: avv. Matteo Consiglio, camminodiritto.it

Print Friendly

Tags: ,

Lascia un commento