La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal medico contro la sentenza di appello che aveva confermato la condanna alla pena di 8 mesi di reclusione per il reato di omissione di atti d’ufficio. Il medico era imputato perché, in turno di reperibilità, quale dirigente medico del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Civile fino alle ore 14:00, alla richiesta di aiuto, rivoltagli da una collega specializzata in ginecologia, rifiutava di assisterla nell’esecuzione di urgente intervento di taglio cesareo riferendo, mentre era intento a guardare una partita in televisione, di aver già timbrato l’uscita ed ingiuriando la predetta collega, di fronte alla degente ed al personale paramedico. La Suprema Corte ha affermato che la nozione di rifiuto implica un atteggiamento di diniego a fronte di una qualche sollecitazione esterna, e, laddove non sia espressamente prevista la necessità di un richiesta o di un ordine, questa, sollecitazione può essere costituita dall’evidente sopravvenienza in sé dei presupposti oggettivi che richiedono l’intervento. Nella specie, a fronte di una urgenza sostanziale impositiva dell’atto, resa evidente dai fatti oggettivi posti all’attenzione del soggetto obbligato ad intervenire, l’inerzia omissiva, rafforzata da un suo esplicito rifiuto, è stata giustamente ricondotta nella condotta punita dall’art. 328 c.p.. Nel caso di specie, la consapevolezza che l’atto (intervento di taglio cesareo in un quadro di arresto del feto) doveva essere compiuto senza ritardo, ben poteva ricavarsi dal tenore delle richieste formulate al sanitario da altro sanitario. Il giudice può al riguardo sindacare l’uso della discrezionalità tecnica da parte del medico, tanto più che, come nella vicenda concreta, la richiesta di intervento era stata formulata, allo specialista ospedaliero, da parte di altro medico, specializzato nella stessa disciplina, e il medico – richiesto dell’intervento – neppure si era curato di verificare, personalmente, la fondatezza o meno della gravità della situazione, nei termini che gli erano con urgenza prospettati dalla giovane collega. Usando l’espressione dei giudici di merito: “non poteva rimanere a vedere la partita, ritenendo a distanza che non vi fosse urgenza”. (Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net).
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